È l’album della consacrazione. Raggiunge la vetta della classifica inglese, proietta il gruppo ai vertici del mondo e conia il nuovo linguaggio del rock duro, dove le canzoni di studio, diventano un pretesto per orgiastiche riletture strumentali dal vivo. Ian Gillan si concede anche l’occasione di dare la voce al personaggio di Gesù nell’opera rock Jesus Christ Superstar.
Tag: harvest
Sienteme, it’s time to land
È tempo di atterrare: dopo il volo progressivo dei primi dischi, il cantante va a San Francisco e intuisce la prossima fine degli "anni dell’impegno". Nell’album, cantato soprattutto in inglese, c’è molta fusion, che maschera un compiaciuto avvicinamento al funky e alla disco.
In Rock
È l’album che apre definitivamente l’epopea dell’hard rock. Un capitolo fondamentale di un periodo musicale di forti impulsi creativi e di irrefrenabili energie. La band è all’apice della forma e forgia canzoni memorabili, come Speed King, Living Wreck e Into The Fire. Gli acuti portentosi di Gillan confezionano l’eclettica Child In Time, rubata però dal repertorio degli It’s A Beautiful Day. Diventerà un marchio di fabbrica, la determinante produzione di Martin Birch.
Concerto For Group And Orchestra With The Royal Philarmonic Orchestra
Si apre un nuovo capitolo della storia della band con l’ingresso del cantante Ian Gillan e del bassista Roger Glover, che debuttano con l’ambizioso progetto, fortemente voluto da Jon Lord, di fondere rock e musica classica. Disco prima osteggiato e poi rivalutato due decenni dopo, quando rock e classica hanno preso a flirtare, con riletture di molti gruppi da parte di famose orchestre.
Deep Purple
La fitta agenda live non impedisce ai Deep Purple di incidere, nei ritagli di tempo e sempre molto rapidamente, un terzo album in pochi mesi. Non molto da ricordare, a parte il rock blues di Why Didn’t Rosemary e una inattesa diversione in zona Donovan (Lalena).
Singles A’s & B’s
Un classico fra le prime opere d’archivio, con un paio di inediti e qualche versione dal vivo mai data alle stampe.
Aria
Italo-inglese nato a Napoli nel 1950, debutta con un disco nel quale molti rivedono la stessa ispirazione del Tim Buckley di Starsailor. Evoluzioni vocali impressionanti e un susseguirsi vorticoso di mood psichedelici e acustici, nonché il non trascurabile apporto di Jean Luc Ponty nella lunghissima suite Aria fanno di questo disco un classico del pop italiano ma gli guadagnano anche il rispetto della critica internazionale.
Alan Sorrenti
Qualche problema alle corde vocali induce ad ammorbidire il repertorio. Un singolo pubblicato quasi per sfizio, Dicintecello vuje, ottiene un discreto successo: vedendolo in hit-parade, i duri e puri della musica "consapevole" lo prendono a bottigliate (Festival di Licola).
Come un vecchio incensiere all’alba di un villaggio deserto
Una aperta ma meno brillante replica del disco precedente, perché la casa discografica sospetta che Alan Sorrenti possa giocarsela coi grandi: il cantante è invitato a incidere il disco a Londra con Dave Jackson dei Van der Graaf Generator ("rubato" a uno dei suoi punti di riferimento, Peter Hammill), Francis Monkman dei Curved Air e Tony Esposito.
The Book Of Taliesyn
Album ingenuo ma non spiacevole, ondeggia fra tardo beat e germogli di nuovo rock più complicato e si presenta con una copertina in squisito stile prog. La parte del leone spetta sempre alle cover: Kentucky Woman di Neil Diamond, We Can Work It Out dei Beatles, River Deep Mountain High di Ike e Tina Turner. Come già il disco precedente, viene ignorato in patria ma trova buoni riscontri negli USA.