Album,  E,  Pete Townshend

Empty Glass

Un esempio classico di turbolenza creativa. Tra crisi matrimoniale, tragedie personali, dubbi di mezza età e alcolismo oltre i livelli di guardia (rivelatrice la copertina del disco, e i ringraziamenti al Cognac Rény Martin “per avermi salvato la vita aumentando i prezzi”) Townshend vive un momento di forte instabilità emotiva. Reagisce pubblicando il suo capolavoro solista, sicuramente datato in certi suoni sintetici allora di moda ma vibrante, percorso da fremiti vitali, onesto fino all’imbarazzo. Rough Boys esplicita le affinità elettive con il punk dei Sex Pistols a suon di riff chitarristici debordanti, la convulsa Jools And Jim difende a spada tratta la memoria di Keith Moon, A Little Is Enough applica gli insegnamenti di Meher Baba su un tempestoso ritmo funk rock, la melodia doo wop di Let My Love Open The Door indica una via “mistica” al pop. Bellissime le ballate, tra i raffinati incastri elettroacustici di I Am An Animal e il fraseggio pianistico circolare di And I Moved, che i movimenti gay interpreteranno come omaggio all’amore omossessuale.