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Third

La stagione progressiva dei Soft Machine inizia con il loro disco più ambizioso e riuscito, una splendida sintesi tra le due anime che già vanno contrapponendosi all’interno del gruppo: da una parte Mike Ratledge e Hugh Hopper, che vogliono portare avanti un discorso di sintesi musicale tra il jazz di Miles Davis e la sperimentazione minimalistica di Terry Riley; dall’altra Robert Wyatt, la cui vena creativa arriva invece da improvvisazione e spontanesimo (e andrà da tutt’altra parte). Ne esce uno splendido disco di jazz rock, con tre facciate interamente occupate da singole composizioni strumentali, tra le più belle e famose dell’intero repertorio (Slightly All The Time, Out-Bloody-Rageous, Facelift). Sulla quarta brilla la meravigliosa Moon In June firmata da Wyatt, unico brano cantato e ultima splendida visione del periodo psichedelico.