Album,  C,  Joy Division

Closer

Esce nel luglio 1980, scalzando i Rolling Stones dal primo posto delle classifiche in Gran Bretagna, il più venduto disco indipendente della new wave inglese. Il 18 maggio un Ian Curtis provato da problemi personali e dall’epilessia curata con forti dosi di barbiturici si era impiccato nella sua casa di Macclesfield; pur con tanti possibili moventi, le ragioni del suo gesto non saranno mai del tutto chiarite. Closer finisce per essere il suo monumento funebre. L’iscrizione del povero Curtis alla mitologia rock è però secondaria rispetto al contenuto immortale delle canzoni: i ritratti del trauma e della degenerazione di Ballard (The Atrocity Exhibition) e Kafka (Colony), l’implosione delle emozioni (Means To An End), la pulsazione a orologeria di Isolation e quella in controtempo di Heart And Soul, soprattutto il fatale viaggio nello smarrimento di Twenty-Four Hours, fine ultimo di una ricerca di senso che non trova sbocchi. Il gruppo e il produttore Martin Hannet ampliano l’uso dei sintetizzatori per donare spazio e un’atmosfera plumbea, maestosa quanto presbiteriale, che scorre cinerea e lenta in The Eternal per stagnare nel golfo mistico acceso da Decades, dove le porte della percezione sono “aperte, chiuse e quindi sbattute in faccia” per l’ultima volta. Per sempre.