A,  Album,  Phish

A Live One

Registrato nel corso di varie esibizioni dell’anno precedente, il primo (doppio) dal vivo dei Phish spiega, almeno in parte, i motivi della loro reputazione di band guida della nuova scena “jam” americana. Poche le analogie con i spesso citati Grateful Dead, a parte la telepatia speciale con i fan e una predilezione per i tempi dilatati e le improvvisazioni in forma libera (qui le sghembe linee musicali di You Enjoy Myself superano i venti minuti di durata, il boogie rock sudista di Tweezer addirittura i trenta). I quattro sfoggiano tutte le loro qualità e propensioni: perizia strumentale (dinamica e pulsante la sezione ritmica Gordon-Fishman, mentre la liquida chitarra di Anastasio e le tastiere di McConnell si scambiano ruoli ritmici e solisti con invidiabile affiatamento), gusto per l’armonizzazione vocale (Bouncing Around The Room, Simple), per l’esplorazione musicale e per l’happening di sapore lisergico e un po’ clownesco: ogni brano è un piccolo rebus musicale, non sempre di facile soluzione per l’ascoltatore. Nel pirotecnico programma, i fiati stile New Orleans che guarniscono uno speziato Gumbo, il reggae rock di Slave To The Traffic Light e due cavalli di battaglia come Stash e Wilson, college rock d’impatto assicurato con qualche reminiscenza degli Who.