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Medulla

"Medulla" vuol dire "midollo", termine biologico ma anche metafora per "quello che c’è dentro", e l’album onora il titolo; intenso, profondo, e d’altro canto chiuso, duro.

Bjork lo ha costruito come uno strano rampicante sul muro della voce, la sua e quella dei suoi collaboratori — Dokaka, Tanya Tagaq, Leila Arab, Mike Patton, perfino Robert Wyatt, che si fa riconoscere in Submarine. Non è un album "a cappella" nel senso tradizionale del termine.

È un’opera in cui la voce comunque prevale, invadendo non solo lo spazio melodico ma anche quello ritmico, con stranianti effetti; lamentosi soliloqui che esplodono e si rifrangono in un coro di schegge sonore, inni celesti tra la preghiera e il jingle, con angeli hollywoodiani che annunciano un radioso Paradiso con trombe di plastica.

Un atto di coraggio e di orgoglio che è giusto elogiare; anche se per simmetrica onestà va detto che Bjork intrigava assai più con i Sugarcubes e ai giorni verdi di Debut.