Album,  L,  My Bloody Valentine

Loveless

Devono passare ancora due EP, Glider (Creation, 1990 &Stelle=3;) e Tremolo (Creation, 1991 &Stelle=3;), il primo con la trance chimica di Soon, il secondo con una flautata To Here Knows When: due canzoni che faranno parte dell’album. Sedici studi diversi, trecento giorni di lavoro e una spesa folle per registrarlo (diciotto ingegneri del suono accreditati). Il Loveless procrastinato alle soglie dell’esaurimento è infine un salasso economico per la Creation, un capolavoro per la critica. I My Bloody Valentine fanno panoramiche su una quarta dimensione del suono mettendo con l’elettronica e i campionamenti altri mattoni ai loro castelli d’aria: il replay continuo di tastiere di When You Sleep e I Only Said è un mantice che solleva l’obnubilante pulviscolo di chitarre strimpellate, tremoli potenziati, riverberi, voci e (ri)percussioni. L’etereo, nei My Bloody Valentine, è in cima a questa stratificata maglia corpuscolare. Pura elettricità astratta in tessiture perlacee (Only Shallow), colorazioni ultraviolette (Loomer), paste sinfoniche (Touched), una mitosi strumentale orchestrata e che respira come un tessuto organico. Tra Pet Sounds e Metal Machine Music, le due colonne d’Ercole della ricerca di Shields, da allora chiusosi in un salingeriano silenzio — interrotto appena da alcuni remix e una collaborazione con i Primal Scream — fino alla colonna sonora del film Lost In Translation di Sofia Coppola (2003) in cui ricompaiono dopo un decennio brani originali dei My Bloody Valentine.